Dal femore spezzato a Santo Domingo a 770 km in bici fino ai Laghi di Fusine, la storia di un ritorno che ha il sapore di una rinascita.
Ci sono viaggi che non iniziano con una partenza, ma con una caduta. Quando nel 2022 Lorenzo finisce a terra a Santo Domingo, con un femore sbriciolato e la bici distrutta, non sa che la strada più lunga da percorrere sarà quella per tornare a se stesso. Ma ce l’ha fatta. E lo ha fatto a modo suo: senza piani, senza mappe, solo con quella forza magica che trasforma le cicatrici in traiettorie nuove.
A due anni esatti dall’incidente, ha caricato la stessa bicicletta, ha legato la stessa voglia di libertà al telaio, ed è partito da Cortona, in Toscana, con un’unica meta: i Laghi di Fusine, al confine con la Slovenia, per suonare al No Borders Music Festival. Un viaggio lungo 770 chilometri, uno per ogni giorno passato dalla frattura. Un percorso che non è solo chilometrico, ma emotivo, simbolico, e fisico nel senso più puro.
Mille bici, un solo battito
Arrivare al No Borders non è cosa da tutti i giorni: il festival si tiene in un luogo raggiungibile solo in bicicletta. Per questo, cinquemila persone si sono messe in sella: bici da corsa, mountain bike, modelli a pedalata assistita, biciclette da città con cestino, e persino qualche vecchia Graziella. C’erano bambini nei carrelli, genitori, ciclisti esperti e ciclisti occasionali. Tutti a pedalare, tutti a spingere il proprio corpo verso un’esperienza condivisa.
Quando Lorenzo ha raggiunto il palco, le gambe ancora sporche di fango e sudore, non c’è stato bisogno di parole. Bastava guardarlo negli occhi. “Non avevo piani o programmi. Non ne faccio mai”, racconta. “Solo un desiderio feroce di tornare a suonare”. E se c’è una cosa che in lui non si è mai spezzata, è proprio quella fame di musica, quella voglia di palco che non è solo esibizione, ma cura, scambio, terapia.

“Il palco, per me, è come la bicicletta. È il mio posto sicuro”, dice. Nonostante le difficoltà , nonostante i timori dopo l’incidente, sapeva che doveva tornarci. Non per dimostrare qualcosa, ma per riprendersi qualcosa. E lo ha fatto in grande, cominciando dai palasport, da quel pubblico che ormai chiama famiglia. Una famiglia larga, rumorosa, che ha imparato a seguirlo non solo nei suoi tour, ma anche nelle sue cadute e nelle sue rinascite.
Una danza che parte da terra
C’è qualcosa di poetico nell’immagine di chi cade, si fa male davvero, ma invece di restare fermo si rialza e comincia a danzare. È quello che ha fatto Lorenzo: ha trasformato la caduta in un tuffo, l’impatto in movimento, il dolore in meraviglia. E quando parla del suo percorso, non c’è traccia di autocommiserazione. Solo un realismo sincero: “Dopo l’incidente, non era scontato che potessi tornare a suonare. Mi sono impegnato al massimo. Perché lo volevo con tutto me stesso”.
Ma c’è anche spazio per la semplicità delle cose belle. “Sto bene con la mia famiglia, con le mie ragazze, coi miei cani. Sto bene anche solo a leggere, a non fare nulla. Ma quel contatto col pubblico, quella scossa che sento quando salgo sul palco, è qualcosa che mi rimette insieme ogni volta”.
Il viaggio verso i Laghi di Fusine è stato solo l’ultima tappa. Ma il cammino che Lorenzo ha intrapreso parte da molto più lontano. E non è ancora finito. Perché certe meraviglie, quando nascono dentro, non finiscono mai. Restano negli occhi, nelle note, nei chilometri pedalati in silenzio.